Nuova tappa verso la sostenibilità.

Eccomi nuovamente qui, ad appuntare le mie riflessioni, confidando che possano essere utili a qualcuno e che possano proseguire il tanto amato effetto moltiplicatore.

Ebbene, in questo cammino per la metamorfosi verso una vita più sostenibile, mi accorgo della prima grande lacuna a cui dobbiamo mettere mano: non abbiamo una sensibilità educativa per la sostenibilità.

Eh già, ritorno sempre al concetto educativo, perché secondo me è il più completo per garantire una evoluzione migliorativa.

A mio parere, infatti, non si può trasferire nessun valore o insegnamento se non si possiede quel valore o quella esperienza che si vuole tramandare.

Perciò mi sono posta alcune domande al riguardo, soprattutto per poter parlare di sostenibilità con cognizione di causa.

Io sono sostenibile? E come, in cosa?

Ho la capacità di misurare come la soddisfazione delle mie esigenze vada ad impattare sulla realizzazione dei bisogni delle generazioni future?

Divento sostenibile solo se acquisto prodotti sostenibili?

Davvero la mia partecipazione alla sostenibilità si esaurisce in base agli acquisti che faccio e non a come penso e alle azioni che metto in atto in tutti i settori della mia vita?

Come posso parlare ai miei figli di sostenibilità?

E così giunco alla conclusione che sostenibilità fa rima con responsabilità, ma non solo di acquisto, bensì di pensiero e azione.

La sostenibilità evoca il concetto di genitorialità che è quello che si basa sul prendersi cura di qualcuno che è altro da noi, a prescindere dalla procreazione di nuova vita.

Parlare di sostenibilità è quindi il modo più semplice per iniziare a mutare le nostre strutture di pensiero, perché un atteggiamento sostenibile ha alla base una mente aperta, lungimirante, accudente e consapevole degli effetti di tutte le proprie azioni.

Bisogna infatti comprendere che il cambiamento dipende da una connessione che riguarda tutti, nessuno escluso.

Queste riflessioni sono spuntate per una serie di coincidenze che mi hanno fatto sentire l’esigenza di approfondire il tema, sia in ambito lavorativo che in ambito personale.

A me pare di vivere in un’ epoca in cui il discrimine per scegliere tutto, sia dettato dalla misurazione della soglia di crudeltà che siamo capaci di tollerare, a partire dalle dinamiche scolastiche dei nostri ragazzi, passando per il lavoro, fino ad arrivare alle scelte consumistiche che facciamo.

Ho la sensazione che questa pratica di reportage sul brutto che ci circonda, sia diventata l’ultima e più meschina strategia per accaparrarsi il lavoratore /consumatore, che si trova a dover scegliere sul mercato il prodotto o il servizio, in base alla leva della creazione a minor impatto di crudeltà rispetto all’ambiente, ai lavoratori, agli animali.

Lo svezzamento alle assurdità a cui siamo stati abituati ci ha poi portato a considerarci senz’altro più fortunati per non essere vittime noi stessi di quelle atrocità che tengono banco e fanno notizia, senza accorgerci però di quanto l’asticella della assuefazione al brutto facesse abbrutire comunque anche noi.

Come si torna indietro da tutto questo?

E quali sono le battaglie che vale la pena combattere per cambiare rotta?

Da quello che sto apprendendo dalle ricerche che faccio, un buon antidoto è il ricominciare a parlare di principi e valori.

A mio parere però, un elemento fondamentale per riacquisire una condotta più sostenibile è quello di riconsiderare  e riconoscere i limiti della dimensione umana, spogliata del privilegio dell’onnipotenza e rieducata  alla piacevolezza di essere una delle parti di questo enorme ecosistema che ci ospita e che dovremmo aver cura di conservare e non modificare e consumare a nostro godimento.

È quello che ho compreso in occasione dell’European Innovation for Sustainability Summit, tenutosi sabato scorso a Roma, a cui a ho  partecipato per la mia curiosità da consumatrice.

Ma è quello che vedo emergere anche da tutte quelle associazioni che si battono per far luce sulla realtà che si cela dietro l’intensificazione produttiva del lavoro, che fa diventare intensivo e crudele tutto ciò che travolge.

Il tema è molto caldo e non sarà possibile trovare una sola soluzione, soprattutto che accontenti tutte la parti. Proprio per questo, un buon modo per iniziare a cambiare le cose, sarà quello di cominciare a concentrarci prima di tutto come individui su ciò che è sotto il nostro controllo e iniziare a chiederci come faccio a trasformare le mie condotte in sostenibili?

Credo che ne valga la pena parlarne e partecipare attivamente al cambiamento.

Tu hai iniziato a pensare sostenibile?

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