Eccomi qui, a riscrivere dopo due anni di blocco.
Come una dissolvenza in un film, così ho pensato di intitolare questa pagina di diario.
Ormai sono trascorsi due anni da quando ho deciso di iscrivere i bambini a scuola, interrompendo la nostra meravigliosa esperienza di homeschooling; non è stata una scelta semplice e confesso che ho percepito il sapore del fallimento, perché ho sentito il peso di non essere riuscita a trovare una strada più coerente ai valori pedagogici a cui mi ispiro.


Ad oggi non mi pento di questa scelta, ma l’idea che sia l’unica soluzione mi irrita comunque.
Trascorso il tempo per metabolizzare l’insensato senso di sconfitta per non essere riuscita a cambiare il mondo, e riappropriatami di un più calzante abito di umiltà, ho finalmente trovato il coraggio di confessare le mie difficoltà nel passaggio dalla libertà educativa, a cui mi sono votata anima e corpo durante la pandemia, alla monotona marcia stereotipata del ritmo scolastico.
Durante il primo anno di inserimento scolastico post covid, il disorientamento è stato più il mio: non che per i ragazzi sia stato semplice abituarsi all’ennesimo cambiamento, tuttavia loro hanno dimostrato una capacità adattiva ambientale e di socialità brillante, rispetto al mio totale smarrimento.
Mi sono accorta come noi adulti siamo stati abituati a ragionare per compartimenti stagni e per categorie. Insomma, ora chi ero se non facevo più scuola parentale ai miei figli? Cosa c’era di speciale in me?
Buffo come l’essere investita da questi frustranti pensieri, mi abbia aiutata a tracciare un confine alla mia maternità, a sentire la seria necessità di non confondermi solo con essa, perché sarebbe diventata una trappola proprio per i miei ragazzi.
Io ero e sono a prescindere dall’immenso amore che provo per loro, c’ho dovuto lavorare molto per capirlo.

Al momento del rientro a scuola, la mia anima è stata strappata in due parti, come si strappa una foto.
Una parte di me si sentiva soddisfatta, potente e appagata dall’eccellente riscontro ottenuto dai risultati scolastici e dall’equilibrio che riconoscevo nei miei ragazzi; dall’altra ero smarrita e confusa perché mi son sentita nuovamente sopraffatta dall’alienate routine del sistema; sveglia, scuola, sport, compiti, nanna e così via.
Dove inserire tutta la bellezza e ricchezza del nostro percorso di libertà, se la marcia è così serrata?
Sì, sono andata in crisi, perché ho sentito di non essere capace di conservare quel mondo di meraviglia e di interesse che avevo cercato di costruire per i miei figli, ma anche per me.
La sofferenza più difficile con cui convivere è stata quella dovuta al senso di solitudine e di non appartenenza; sì perché anche se durante l’esperienza di istruzione parentale sono stata da sola e magari contestata per una scelta diversa, mi sentivo comunque definita e allineata ai miei valori.





La mia coerenza nel pensarla in un determinato modo e il fatto di darmi la possibilità di agire di conseguenza, in qualche modo mi ha definito.
Ma dopo? A quale realtà sentirsi di appartenere se per la maggior parte dei casi, la maggior parte delle realtà “tradizionali” io le contesto?
Solo quando ho capito che da tutto questo tormento dovevo tenere fuori i miei figli, che hanno avuto la sacrosanta possibilità di rientrare e di vivere la “normalità”, arricchiti della loro esperienza, è iniziato il mio processo di rieducazione.
E sai da dove ho iniziato? Dal mettermi alla prova con un’altra scelta dirompente nella mia vita.
Ho deciso di rimettermi in gioco nel lavoro, ma non uno tradizionale che ricalcasse la routine con cui addestriamo i nostri ragazzi, no!
Ho iniziato a fare network marketing!


Mi sono quindi sfidata nel cercare di realizzare ciò che avevo argomentato nella mia tesi di laurea; ho avuto l’ardire di cercare di continuare la mia missione di liberazione, passando da una istruzione senza scuola a un lavoro senza ufficio, tutto da costruire.
Ho guardato in faccia tutti i miei fantasmi, le mie convinzioni e i miei pregiudizi e li ho scardinati uno ad uno, andando incontro al peggior incubo di chi si sente solo e cerca conferme e luoghi comuni a cui appartenere: lo svegliarsi ogni giorno e scontrarsi (per scelta) con l’indifferenza e i no degli altri.
Atroce direi, quasi masochista! Tuttavia, cercare di superare il mio tabù sulla percezione dell’abbandono e della solitudine proprio mettendo in atto un lavoro che non fa altro che incastrarmi nella condizione di ricevere più no che conferme, mi obbliga ad uscire da quella paura, a fronteggiarla e a renderla piccola.
Quindi, c’è un però: questa sfida cosciente con la profezia autoavverante del non essere compresa da nessuno è una grande palestra per prendere a sassate quel nemico enorme che ormai non individuo negli altri, ma nella mia testa e che si chiama aspettativa.
A dirla tutta, non potevo fare scelta migliore sia per quanto riguarda il volo che ho permesso di fare ai miei figli, sia soprattutto per il volo che sto iniziando a fare io.
Ho deciso che ti racconterò anche questa nuova avventura, anche perchè alla fine una tribù a cui appartenere l’ho pure trovata..



Pensavo di non aver più nulla da raccontare, e invece!
Mary is back…mi accompagni anche in questo viaggio?
Lascia un commento