A proposito di realtà. Viaggio nei cinque sensi delle parole che la raccontano.

Tu pensi che la realtà sia qualcosa di oggettivo, di esterno, qualcosa che abbia un’esistenza autonoma. Credi anche che la natura della realtà sia di per se stessa evidente. Quando inganni te stesso e pensi di vedere qualcosa, tu presumi che tutti gli altri vedano quello che vedi tu. Ma io ti dico, Winston, che la realtà non è qualcosa di esterno, la realtà esiste solo nella mente, in nessun altro luogo.

GEORGE ORWELL

Credo che esista un mondo fatto di materia ed energia.

Credo che ci siano poi gli esseri viventi, che a questo mondo si adeguano con le loro capacità.

Credo che fra gli esseri viventi ci sia l’essere umano, il quale è dotato di sensi ed emozioni per percepire l’ambiente e possiede anche il dono del linguaggio e della parola per raccontare questo mondo e restituirlo cognitivamente agli altri.


Credo che ogni parola in sé rechi il carico sensoriale che ognuno di noi vi ripone dentro, per cui,  ogni espressione o definizione, indicherà un significato accessibile a tutti certo, ma carico di immagini, suoni, odori, sapori, spessori ed emozioni del tutto personali.

Vocaboli come famiglia, scuola, malattia, solitudine, isolamento, distanziamento, virus, evocheranno immagini ed emozioni differenti per chiunque li ascolti e li racconti.

Dovremmo tenerne conto quando scagliamo parole cariche del nostro vissuto, sui vissuti degli altri.

Dovremmo avere a cuore il carico emotivo e sensoriale di ogni discorso; forse è questo che dovremmo tornare ad ascoltare, cogliere, fiutare, vedere, assaggiare: i cinque sensi nelle parole.

Smetteremmo di combattere, anche solo a livello dialogico, se ci rendessimo conto che le parole con le quali raccontiamo ciò che viviamo, assumono i connotati di un’ oggettività comunque soggettiva, sia per il mittente che per il destinatario del messaggio.


Se ci sforzassimo ad andare oltre il semplice suono sillabico delle espressioni, ma ascoltassimo ciò che esse urlano in noi e scatenano nell’altro, forse finiremmo di lamentarci e cominceremo a parlare di soluzioni.

Se spostassimo la responsabilità su noi stessi, su ciò che diciamo e non la cercassimo in chi ascolta, forse cominceremmo a calibrare quello che pronunciamo, senza pretendere dagli altri comprensione e interpretazioni coerenti con le nostre intenzioni.

In questo momento penso ai bambini e a quello che gli stiamo raccontando; penso alla pioggia di parole con cui stiamo dissetando o affondando le loro curiosità.

Leggendo Novara, mi ha colpito un suo passaggio, ove il noto pedagogista afferma che è necessario “riconoscere che il bambino ha risorse, una creatività e che vive una realtà specifica. […] ascoltare la diversità infantile, […]. Non “udire” i bambini ma stare profondamente nella loro diversità, viverla, assumerla, accettarla perché ci fa bene e ci dà uno sguardo radicalmente diverso sul mondo”.

Come trovare contenuto e quale senso autentico attribuire a questo discorso?

Io una soluzione l’ho trovata con la lettura, ma non quella universitaria e scientifica, macché!

Con albi illustrati per bambini; libri che hanno aiutato nella crescita, più me che loro.

Bruscolo e Botolo, per esempio, con “La sedia blu” mi hanno suggerito un modo per stare con i miei figli e viaggiare nel loro mondo creativo, indicandomi anche la direzione per evitare di irrigidirmi, col rischio di restare immobile e arroccata su quella spoglia oggettività, percepibile solo da una mente sapientemente adultizzata e sgombera di fantasia. Interessante il tema esistenziale posto dalla trama dell’avvincente storia: chi sono io e chi voglio essere? Bruscolo, Botolo o il dromedario?

“Cascatachegrida ha paura” invece, mi ha riportato alla mente un presupposto studiato in PNL, che la realtà non è come la immaginiamo, ma ciò che immaginiamo diventa la nostra realtà.

La lettura di questa storia ha aggiunto un altro tassello alla riflessione evocata, un tassello decisivo e importante per la comunicazione coi bambini: loro vedono il mondo attraverso i nostri occhi e lo vivono attraverso tutti i sensi con cui riempiamo le parole che usiamo quando glielo raccontiamo.

In buona sostanza, quello che noi diciamo, creerà immagini e sensazioni nell’universo dei bambini i quali, per decifrare il mondo che li circonda, utilizzeranno proprio quei codici, con annesso peso emotivo, che noi avremo fornito loro.

Bella responsabilità direi, no? E cosa succederebbe se, ad un tratto, la comunicazione con la fanciullezza si impregnasse totalmente ed esclusivamente di paura? Ci avete pensato?

Infine, per restare in tema di comunicazione, io una sbirciatina alle avventure dei “Due mostri” la darei, così, tanto per comprendere quanto sia importante l’ascolto al di là delle parole.

Stiamo vivendo un periodo in cui le parole sono diventate macigni, proprio come nell’ultimo racconto citato, e quello che sta succedendo in questo momento storico, è ben narrato fra le pagine di questo prezioso libro.

Già, in questa epoca, le parole hanno assunto solo peso, perché forse ci siamo scordati degli altri sensi; con esse infatti potremmo colorare il racconto delle nostre giornate; potremmo gustare lo scambio di un dialogo che ci nutre; avremmo l’opportunità di fiutare le emozioni che ci circondano e potremmo intonare un unico coro, di amicizia e di ascolto, accarezzando almeno gli animi. Con le parole potremmo rassicurare, non solo obbligare e terrorizzare…

E invece, si investe sulla distanza da tutto e da tutti, anche dalla cultura. Si punta tutto sulla materia e sull’immobilismo; si gioca al ricatto e al controllo, come se certe cose si potessero controllare restando fermi…un, due tre, virus! E tutti immobilizzati.

La parole con cui si racconta l’attualità sono belle pregne di puzzo di terrore e gelo di morte, non fanno che procurare disgusto e angoscia, si sono trasformate in un rullo compressore in cui tutto deve andare avanti ma con regole ferree, altrimenti, ad attenderci, c’è il buio dell’isolamento.

E poi, oltre le parole ci sono i fatti, quelli che riguardano le parole scritte, le parole che inanellate compongo libri.

Ho una fitta al cuore se penso che nelle scuole, per rimanere alla giusta distanza, i libri sono diventati spazzatura.

(Per info: https://www.facebook.com/LegamiCommunity/posts/155766502942978).

Parole, libri, riflessioni, che gran caos ho in testa!

Faccio fatica a decifrare il bagaglio emotivo che si portano dietro le parole che scrivo.

Per cui, questa volta, propongo a voi di andare a caccia di emozioni e di parole.

Se le troverete, belle o brutte che siano, potrete dirvi di avere cercato con cuore, fantasia, logica…fate voi; ma almeno non sarete rimasti fermi come quel dromedario un po’ antipatico, arroccato e irremovibile, seduto su di una semplice sedia blu, in mezzo al deserto.

Buona caccia.

Mamma aquilone

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