Avevo fatto una promessa a me stessa: volevo cercare e diffondere bellezza.
Con questo articolo infrango il mio patto e decido di vomitare pubblicamente il mio dolore profondo, nell’essere testimone di tanto abbrutimento dell’essere umano.
Le immagini che seguiranno sono estrapolate dalla chat del mio quartiere.


Faccio una doverosa premessa, con questo articolo denuncio, rifletto e chiedo AIUTO per la povertà educativa a cui sono condannati i nostri figli. La mia non è polemica, nè voglia di ravalsa, ma una ferma presa di posizione, forte e dignitosa e contraria alla violenza verbale a cui voglio rispondere, tutelando cumunque la riservatezza dei partecipanti al dibattito virtuale.
L’aridità educativa a cui faccio riferimento è quella che attanaglia, molte famiglie, tanti genitori e comunque tutti gli adulti, totalmente ignari di quali siano realmente i contenuti da attribuire a parole come famiglia e comunità educante.
Sono anni che studio e ricerco competenze per rendere il più concreta e tangibile possibile la DIMENSIONE SOCIALE dello stare insieme, della RES PUBBLICA, del villaggio oltre la famiglia.
Ho impiegato moltissime energie per comprendere le tecniche per trasformare l’energia della rabbia; questa è un’onda che provo di fronte a molte ingiustizie. Tuttavia mi sono posta l’obiettivo di usarla come carburante costruttivo e non distruttivo, perchè ritengo che questo sia l’approccio più rivoluzionario e utile a migliorare le situazioni.


Sono anni che percepisco un vuoto spaventoso, della assenza di uno spazio di incontro che vada oltre ciò che si ritiene essere di proprietà privata. Trovo molto triste il fatto che lo spazio dell’evoluzione delle persone è ormai suddiviso in compartimenti stagni: famiglia, lavoro o scuola, sport… e a me pare che oltre questi bei contenitori definiti lo spazio dello stare insieme, puro e semplice, non esista più e anzi sia sbagliato.


Subisco forte la percezione di vivere le relazioni come una passeggiata in un campo minato, dove i confini sono netti e definiti, ed ogni dimensione della vita propria e altrui, diventa campo di proprietà privata; fortino di convinzioni che non si è disposti a modulare nello scambio col prossimo.
La cosa più triste è che persino gli affetti sembrano cadere in questo circolo di egoismo, tanto che i figli, propri o altrui, vengono visti quasi come oggetti da modellare. Se ricevono una buona educazione, sono considerati un “successo”, altrimenti vengono emarginati, come se il loro valore dipendesse solo dalla cura della loro famiglia.
Mai una volta che io senta parlare di persone, mi parlano invece di target: bambini/e, ragazzi/e diventano un insieme non meglio definito di “cose” che disturbano e di cui si è responsabili fino alla fine dei tempi.

Sempre più di frequente mi trovo a rapportarmi con miei coetanei che, completamente privi di ogni bussola emozionale o di competenze di civiche, o semplicemente di buon senso, palesano la loro difficoltà ad affrontare la crescita delle nuove generazioni, e tale impreparazione la confidano nel peggior modo possibile.
ABBIAMO BISOGNO DI AIUTO!
Venendo ai fatti, la mia denuncia è un urlo di dolore di chi ha scelto di vivere fuori da un contesto cittadino, prediligendo la campagna, non sapendo tuttavia che quella bellezza, scelta come luogo in cui vivere, si sarebbe rilevata un esilio e una trappola.
La totale mancanza di servizi nella nostra zona di residenza, ai confini della Capitale, ha reso nel tempo molto difficoltosa la vita dei residenti; ma ciò che ha pesato di più, a parer mio, è stata la totale incapacità degli abitanti di zona, di instaurare quelle relazioni tipiche di piccoli villaggi, capaci di sopportarsi e supportarsi vicendevolmente.
Tutte le relazioni si svolgono per lo più su una delle tante chat di quartiere, dove alcune poche anime, di cui a volte non si sa neppure il nome, riversano segnalazioni, comunicazioni e frustrazioni.


Ciò che trovo più allarmante è che l’aridità sociale in cui viviamo si sta trasformando in una sorta di “rancore collettivo” verso le nuove generazioni. I giovani, cresciuti qui, chiedono spazio in modo certamente a volte confuso e arrabbiato, ma invece di ricevere supporto, trovano risposte ancora più rabbiose e prive di senso, che peggiorano la situazione di tutti.
Le potenzialità distruttive dell’odio si esprimono maggiormente non a livello individuale, ma soprattutto a livello culturale e sociale, quando viene sistematicamente instillato, coltivato fino a imprimersi nell’immaginario collettivo condiviso dalla maggioranza. In questo caso, l’odio diventa una sorta di lotta di valore, necessaria, per raggiungere il bene comune, una sorta di dimensione idealistica, alla base della maggior parte degli stermini compiuti nella storia. Esso diventa a livello collettivo, manifestazione di potere, di rivalsa, di possessione e sottomissione, in nome di un ideale condiviso dalla cultura di appartenenza.
https://www.vivienbuonocore.net/che-cosa-e-lodio-collettivo-come-nasce-e-come-e-possibile-disinnescarlo-la-psicologia-spiega-alcuni-dei-meccanismi-alla-base-dei-conflitti-attuali/
Sono preoccupata.
Sono preoccupata dal fatto che alcuni adulti sembrano non comprendere quanto le parole possano influenzare la vita degli altri.
Mi spaventa il come certe idee, espresse con crudeltà e superficialità, vengano proposte come soluzioni per correggere gli errori di persone che stanno crescendo, accolte dall’approvazione tipica di una tifoseria da stadio.


Sono turbata del fatto che, tutti quelli che si spendono per far comprendere che, per correggere uno sbaglio altrui, occorra una strategia autorevole e non autoritaria, amorevole e volta al miglioramento, e non fagocitata da un sentimento di condanna e voglia di dimostrazione di potere e sottomissione.
Sono profondamente preoccupata per quegli adulti che, in preda alle proprie emozioni, credono di poter esercitare il loro potere semplicemente perché sono più grandi e, quindi, solo per questo, meritevoli di rispetto. Questi adulti giudicano i giovani con superficialità, criticandoli per comportamenti che non comprendono, spesso dimenticando il proprio ruolo di guida, e condannando i minorenni per lo stesso loro peccato originale…
Sono arrabbiata del fatto che il dilagare di tale bassezza culturale e di incapacità di visione, svilisca l’impegno di coloro che cercano di rendere tangibili contenuti migliorativi ed evolutivi, e chiunque si avventuri su strade alternative alla “cucchiarella”, venga lapidato per primo perché, se non ti dimostri boia o censore, allora difendi ciò che è sbagliato.
Ecco, questo è il mio sfogo, turbato e di pancia.
E non piango per il fango che l’insensatezza altrui mi fa scagliare contro; soffro perché so che ci sono persone che comprendono quello che dico e che sanno e si spendono per supportare in modo costruttivo l’evoluzione delle nuove generazioni, me sembrano essere solo una mia visione.
A TUTTI QUELLI CHE HO CONOSCIUTO NEGLI ANNI, A QUELLA BELLEZZA CHE AVETE DIFFUSO E TRASFERITO, QUESTA RICHIESTA DI AIUTO LA RIVOLGO A VOI.
NON LASCIATECI SOLI.
Mamma Aquilone
Un altro aspetto notevole nella diffusione dell’odio collettivo è dato dalla collaborazione passiva, l’osservazione senza partecipazione, il lasciar perdere e scegliere il quieto vivere per paura o disinteresse può essere considerato come una forma di approvazione e di consenso passivo. È la medesima dinamica del «branco», in cui i comportamenti violenti, quando sono opera della massa, tendono a sminuire la percezione della responsabilità individuale, facendo sentire i singoli anonimi e spinti da una forza più grande, impersonale e distruttiva, che li avvolge, coinvolge e li assorbe come un vortice. Tutto ciò conferma Tucidide: «Il male non è solo di chi lo fa. È anche di chi, potendo evitarlo, non fa nulla per evitarlo».
https://www.vivienbuonocore.net/che-cosa-e-lodio-collettivo-come-nasce-e-come-e-possibile-disinnescarlo-la-psicologia-spiega-alcuni-dei-meccanismi-alla-base-dei-conflitti-attuali/
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