Leggendo un post molto interessante sulla sostenibilità, trovato sul profilo Instagram @sostenibilmente.cloud, ho cominciato a riflettere su quanti valori in esso riconoscessi e approvassi, notando tuttavia che se per me alcune parole risuonano come eco di una memoria già presente nel mio vissuto, per quelli più giovani di me, tali concetti sembrano avere il peso della scoperta di una verità nascosta.
Così ho unito le idee e per qualche strano motivo sono andata a vedere la differenza tra le varie generazioni; non so se sai la diversità che distingue la Generazione silente, Gen-Z, Millennial; X, Boomer e addirittura l’emergente Alpha per i più piccini.

Approfondendo l’argomento, ho compreso che la classificazione generazionale non deriva solo dall’appartenere ad uno specifico anno di nascita, bensì dall’aver vissuto eventi specifici tal da aver unito quella popolazione nel modo di interpretare l’esistenza.
A vederla così a me son venuti i brividi.
Mi sono emozionata quando ho letto le caratteristiche che hanno coinvolto una generazione rispetto la successiva e ho messo a paragone le peculiarità che appartengono alla mia generazione X con le precedenti e le successive.
La mia è una generazione che è maturata vivendo un’infanzia (sostenibile), dove non c’era tecnologia invasiva nella quotidianità; non esistevano cellulari e il social network per eccellenza era il muretto della comitiva; i bambini giocano ancora per le stradine secondarie a nascondino, o a palla al grido di “MACCHINA” per avvertire il gruppo del sopraggiungimento di un’auto. La connessione era umana, con tutti i pro e i contro.
Le città erano ancora uno spazio per la comunità.
Noi X siamo anche quelli che hanno vissuto il periodo della lotta alla mafia, dove i buoni diventavano eroi perché smembrati dalle bombe dei cattivi e i figli dei pentiti venivano sciolti nell’acido.
Siamo quelli della Guerra del Golfo; quelli che venivano rapiti dagli zingari (così ci dicevano).
Siamo gli ex scolari del “se non vai a scuola arrivano i carabinieri a casa!”, (che balla enorme).
Siamo quelli che ancora erano chiamati per la leva militare e che avevano conquistato il diritto di essere obiettori di coscienza.
Siamo quelli che l’economia l’hanno imparata in Lire ma che hanno dovuto riprogrammarsi per insegnarla in Euro.
Siamo i ventenni bamboccioni che hanno visto crollare le Torri Gemelle, e che hanno dovuto fare le esercitazioni sotto la metropolitana per sventare l’ipotesi di attentati.
Siamo la generazione che si porta tutto il bagaglio storico delle generazioni precedenti, e che avrebbe la possibilità di tracciare la memoria storica di una umanità che si è evoluta nelle così dette generazioni digitali, quelle degli Hikikomori, delle challenge on line, degli influencer, della realtà virtuale e dell’AI.

A metterci un po’ più di empatia nell’analizzare il vissuto di ogni generazione, mi accorgo che ciascuna ha dovuto affrontare il rumoroso sottofondo di guerre, a cui quasi ci siamo anestetizzati, ma a quelle più giovani, che hanno dovuto elaborare perfino il concetto di Pandemia, abbiamo sottratto la possibilità di essere umani, trasferendo tutte le nostre aspettative in un mondo virtuale.
Quando oggi mi imbatto in giovani ventenni e trentenni che combattono per salvaguardare un sistema che abbiamo consumato in maniera indegna, ritrovo molte soluzioni che di fatto hanno preso una veste nuova che sembra così stridente con le abitudini presenti, semplicemente perché non siamo stati in grado di conservare la parte umana, quella virtuosa e sicuramente più conciliabile con l’ambiente.
È sempre più forte in me la convinzione che la mia generazione e quelle precedenti, potrebbero dare un importante contributo alle nuove generazioni, semplicemente riconoscendo che il nuovo è legato col passato e che tutti possono contribuire.
Se riconoscessimo che la ricerca di formulare una vita più sostenibile potrebbe partire proprio da ciò che già si faceva, ma che è stato cancellato in nome di una comodità acquistabile, forse ci potremmo salvare.
Quando sento le spinte ideologiche verso un modo più sostenibile di alimentarsi, di vestirsi o di praticare abitudini più umane ed eco minimaliste, oh, sarò vecchia, ma io non trovo nulla di nuovo e rivedo le competenze delle mie nonne, semplicemente rivedute e corrette!
Non avevano un abbigliamento eco, loro sapevano cucire.
Non si professavano vegetariane, vegane o bio, semplicemente vivevano di quello che la terra offriva.
Non avevano bisogno di lottare per riconoscere gli assorbenti meno inquinanti per l’ambiente, perché semplicemente avevano le traversie che lavavano.
Insomma, sembrerò nostalgica, ma la mia non vuole essere l’ennesima rivisitazione del “si stava meglio quando si stava peggio”, ma se un contributo posso darlo per l’impegno verso questa causa, è proprio quello di dare valore a una storia che non è tutta da buttare o emancipare.
E credo che questo compito di raccordo tra l’antico e il nuovo, che sembra spingere nel dimenticatoio anche noi, sia effettivamente il passaggio di testimone che può servire per chi si impegna a trovare soluzioni più a dimensione umana, perché è da li che noi veniamo.
Non si tratta di conservare, si tratta di evolvere rinnovando attraverso il giusto equilibrio fra spinta verso il futuro e approfondimento del passato.
Tu a che generazione senti di appartenere e come pensi di contribuire per la causa della sostenibilità?
Hai ricordi di un’infanzia sostenibile da poter suggerire ai più giovani?
Se rispondi, ti leggo volentieri.
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