La teoria dell’uno, nessuno e centomila in una tranquilla storia di homeschooling

“Sii il cambiamento che vorresti vedere nel mondo”, suggeriva Gandhi.

Credo che questo intento mi sia sfuggito di mano, anche se poi, un po’, c’ho preso gusto.

La dilatazione di “me” è stata lenta e si è attivata ogni volta che mi è capitato di trovare limiti descritti come invalicabili.

“Non si può fare” per me è una formula magica che è meglio non recitare, perché appena la capto, il mio stomaco si attorciglia e inizia la sfida.

Succede che ogni volta che incontro i miei simili, intrappolati in quella torbida palude della rassegnata lamentela per quel che non va,  rifuggo nell’utopia, per non inciampare  anche io in quella  mesta rassicurazione che ribadisce il fatto che tanto le cose non cambieranno.

A furia di trasformare quel “non si può fare” in “macché, ti faccio vedere che è possibile” ho iniziato una trasfigurazione da essere umano singolo a essere polifunzionale (una figura quasi mitologica), rivisitando la teoria della relatività dell’uno nessuno centomila, di pirandellesca intuizione.

Il nuovo teorema si fonda sul principio che seppur essere umano singolo (UNO), la mamma che sceglie la responsabilità dell’istruzione parentale a 360 ° acquisisce la multiversatilita’ di CENTOMILA figure (maestra, moglie, donna, coach,  amministratrice dei conti, cuoca, preparatrice atletica, organizzatrice eventi, tour operator…),  restando comunque NESSUNO per la società intera, la quale,  non rintracciando  alcuna professionalità nel suddetto profilo (troppo materno per essere credibile),  attribuisce alla caleidoscopica  figura il più semplice status di casaliga.

Ora, non è per orgoglio ferito che traggo queste agrodolci deduzioni, ma è per il brivido che mi assale se penso a tutta la zavorra che ho dovuto eliminare per viaggiare spedita in questo periodo e, soprattutto, per far viaggiare alleggeriti i miei amati compagni di viaggio: i miei Gnometti.

Io per assicurare il diritto ai miei figli di poter visitare un museo o un teatro; per agevolare la possibilità di potersi concentrare nella conoscenza, senza l’ansia di ascoltare il bollettino settimanale degli infetti, mi son dovuta trasformare in scuola, mi son voluta vaccinare e, insomma, ho dovuto rintracciare ogni particella di energia sparsa nel mio animo.

Per garantire che nelle loro stratificazioni emotive si conservasse la fiducia nel prossimo, ho eliminato quel sistema perverso, intriso di sospetto e complottismo.

Per inciso, non ci appartiene il tormentone delle “mascherine no o vaccino mai”, più che altro intoniamo quel coro del “vivi e lascia vivere” e fai ciò che è utile fare per vivere in pace.

Mi son sentita dire che la mia è eccessiva protezione o non accettazione di un mondo che tanto è così,  eppure nessuno di coloro che ha elargito giudizi su questa scelta,  mi ha mai rassicurato sul fatto che i propri figli vivessero serenamente le varie disposizioni scolastiche anticovid; nessuno mi ha parlato, usando empatia, dello stato d’animo degli scolari di attendere il conteggio settimanale dei “positivi”e di legare la priopria vita all’esito di un tampone.

Nessuno che abbia voglia di ragionare, con un briciolo di lungimiranza, sugli effetti emotivi o psicologici che le attuali misure contenitive e lo scisma ideologico da esse derivate, avranno in futuro sulle nuove generazioni.

Forse è la stanchezza o un pizzico di rabbia che mi stanno acchiappando, ma fino a quando vedrò che la garanzia del diritto dei bambini viene egoisticamente mutata e scagliata su di loro come indiscutibile dovere, non credo che potrò evitare di improvvisare la lettura del nostro tempo, usando un pizzico di creatività divergente da tutto il sistema e dall’antisistema.

Come al solito ci troviamo nella terra di mezzo, in quello strano territorio in cui si è soli perché non schierati.

A pensarci bene, io una posizione l’ho presa ed è quella per cui i bambini hanno il sacrosanto diritto di camminare in questo mondo leggeri, che a rendere il percorso impervio ci pensa già la vita.

Sarà folle, ma almeno avrò provato a raccontare un’altra versione del mondo, quella che cerca di dare peso specifico ai contenuti e dignità alle persone; quella che si aggrappa alla speranza e a un pizzico di fiducia; quella per cui un diritto è uno spazio inviolabile che non può essere invaso o tramutato in dovere.

“Il senso morale di una società si misura su ciò che fa per i suoi bambini” diceva Dietrich Bonhoeffer; pensateci se per caso siete tra i convinti che i ragazzi hanno il dovere di andare a scuola; il dovere di studiare, di fare i compiti; il dovere di accettare pedissequamente tutti i nostri limiti e le nostre rappresaglie.

Mamma aquilone

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