Il silenzio di un’Italia da ascoltare. La geografia è una faccenda di cuore.

Ci sono luoghi che pare abbiano poco da offrire.
In realtà sono posti che insegnano ad ascoltare.

Quando ero bambina adoravo sentire il racconto delle vite dei miei nonni e dei miei genitori; era come vedere un film in bianco e nero.

E questa è stata un’estate tutta da ascoltare, tra scoperte, meraviglia e nostalgia. Questa è stata un’estate tra ricordi in bianco e nero e colorate emozioni.

Non c’è stato nulla di pronto, nulla che ricordasse il divertimento confezionato e conosciuto delle tante estati chiassose e festaiole, scadenzate da un gioco aperitivo e una baby dance in riva al mare.

Qui a parlare erano le campane, almeno mi hanno detto che un tempo era così; a scandire la quotidianità, ad annunciare gli eventi tristi o gioiosi era il loro rintocco.

Io ho solo potuto immaginare il fragore di questo imponente tocco sonoro, perché a prevalere è stato il silenzio; una suggestiva assenza di rumori che si è alternata con delle ore più chiassose, chiarendo, senza necessità di spiegarle, le usanze di un intero villaggio.

L’occasione è stata ghiotta per mettersi in ascolto e assaporare la memoria di un borgo, ormai scrigno di tradizioni e storie che arrivano dal medioevo.

Ci siamo fatti raccontare storie di una porzione d’Italia che attinge tradizioni in un susseguirsi di ricordi, alcuni neppure troppo lontani.

Quando ho detto che la geografia è una faccenda di cuore, avevo ragione: non ha prezzo comprendere l’autenticità di questi luoghi in cui il presente non è mai arrivato, perché ogni cosa è decisamente ancorata al passato.

Questi sono posti dove la sopravvivenza è data dall’arte del tramandare, perciò se non si è bravi ad ascoltare, col cuore, non si riuscirà mai a descrivere; il rischio dell’oblio, per questa Italia, è veramente alto.

Il tempo trascorso tra vicoli stretti e filari di rovi, ci ha concesso un tempo produttivo, tipico del ritmo contadino che, tra letargica lentezza e meravigliosa suggestione, ci ha stimolato a diventare operosi, proprio come i nostri nonni e vogliosi di raccontare storie di un’infanzia, la nostra, a cavallo tra tradizione e progresso.

E così, mentre ero lì a godere della bellezza dei particolari di quegli antichi viali, mi sono ritrovata a narrare ai miei Gnometti di quando ero bambina io e giocavo a nascondino per strada o vedevo fare la salsa di pomodoro, o la marmellata per la stagione fredda da mia nonna, al paese nativo dei miei genitori. Forse ritornerò anche lì un giorno.

Comunque mi sento fortunata ad avere questi ricordi.

Sarà forse per questo animo un po’ contadino che sono riuscita, anche quest’anno, a trovare i tesori di questo paese: Roccalbegna, in Toscana.

In questo borgo la ricchezza ha il colore dorato di una birra locale, ha il sapore del famoso biscotto della Rocca; ha il silenzio interrotto dallo scroscio del fiume che lo attraversa e ha la durezza di una realtà che lentamente si sta assopendo, peccato.

I souvenir di questo viaggio? Marmellate fatte con frutta raccolta con le nostre manine, una bottiglia di nocino fatto in casa di amici e la promessa di non mollare.

Ma la Rocca è stata anche la base da cui partire verso altre avventure, alla scoperta di una inedita montagna estiva; l’abbiamo girata in lungo e largo; abbiano conquistato la sua vetta e siamo scesi nel suo buio antro; ma questa è un’altra storia che merita un nuovo capitolo.

Di fatto posso confermare: è stata una calda e ricca estate!

Mamma aquilone

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