Non è il paese dei balocchi.

È ufficiale, l’estate è iniziata.

È stato un anno trascorso tra epidemia e istruzione parentale, anzi sono stati solo 9 mesi, più o meno, che però hanno avuto il peso di 36.

Ricordo che a guidarmi, l’anno scorso, era un vibrante entusiasmo misto alla sicurezza che la scelta giusta fosse quella di cambiare. L’importante era non lasciare le cose uguali a se stesse.

Rammento anche che, di questo periodo, ero presa a preparare il mio blog che avrebbe dovuto raccogliere le esperienze di questa nuova avventura.

Ho nitide le immagini di me allo specchio che mi dicevo di essere pronta, carica e convinta.

Ed ora, dopo un anno, come sto?

Sto a ricentrarmi, perché anche se la scelta che ho fatto la rifarei altre mille volte, non tutto è andato come auspicato e quella carica di convinzione e sicurezze iniziale, si è dissolta e smarrita lentamente, nell’impegnativo processo di costruzione di una comunità educante, che ai miei occhi è ancora molto intrisa di teorie adultocentriche, che di comunità ha ben poco e sicuramente di educante ancora meno … insomma, è probabile che io il mondo adulto lo tolleri proprio poco.

Decidere di cimentarsi nell’educazione parentale, partecipando ad un progetto di gruppo, si è rilevato infatti uno degli esercizi più difficoltosi e tortuosi, molto più di quanto immaginassi.

Sono stata un anno a cercare una definizione che potesse decifrare l’identità del percorso intrapreso: siamo stati una scuola parentale? Un’esperienza alternativa? Una comunità educante? Un esperimento?

Ho cercato affannosamente una risposta, anche nelle esperienze degli altri; ho letto, ho scandagliato, come faccio di solito, eppure una risposta ancora non l’ho trovata.

Mi sono analizzata con attenzione e ho visto come, nel rapporto con gli Gnometti, io riesca a fiorire e a divertirmi, ma ho anche osservato che nel rapporto con i grandi è la stanchezza e la frustrazione a prevalere.

Lo stare con i miei figli mi ha spesso fatto percepire la sensazione del si può fare; il dialogo con gli adulti, sebbene spinti da nobili aspettative, invece tende a naufragare in irrigidimenti e in paludi di convinzioni che a volte sembrano insuperabili.

Di fatto, se durante l’anno, nell’animo ho avuto scalpitante l’idea di poter partecipare al percorso di apprendimento dei miei Gnometti, in realtà l’appena conclusa quotidianità scolastica, destrutturata e sicuramente più efficace, per innumerevoli aspetti rispetto a quella tradizionale, si è comunque infranta sui muri della necessità di delegare ad atri tale avventura. Insomma non se ne esce: anche la “non scuola” è diventata chiusa rispetto alla famiglia che deve mantenere un ruolo ben preciso rispetto ad essa…boh io però questi ruoli così delimitati proprio non li concepisco.

Su questo specifico fronte, lo confesso, non è che mi sia trovata proprio a mio agio e il latente principio che la famiglia dovesse essere posta al di fuori dell’esperienza educativa dei ragazzi, ahimè io l’ho percepita assai stretta, anche in questo contesto purtroppo.

Ma siccome mi sono ripromessa di raccogliere solo la bellezza per farne tesoro e migliorarmi per migliorare, anche in questo momento, dove a prevalere sono emozioni vicine alla delusione e alla stanchezza, volgo il mio sguardo alla bellezza di un’umanità che cerca di cambiare le cose non avendo ancora tutti gli strumenti.

Ho capito che il nostro cammino è come un puzzle con dei pezzi mancanti e a chi partecipa alla costruzione di esso non rimane che fare una scelta: guardare solo la parte piena facendo finta che non esistano lacune; allarmarsi e dilatare il vuoto di quei pezzi mancanti, travolgendo e svuotando tutto; oppure caricarsi della gioia per ciò che è stato costruito e ricercare le soluzioni utili a riempire i vuoti.

Si perché noi adulti possiamo scegliere se farci guidare dalle enormi potenzialità che l’infanzia dona, facendoci travolgere e rigenerare da esse, oppure possiamo continuare a fare ciò che facciamo benissimo, impegnandoci a soffocare i bambini con tutte le nostre belle convinzioni limitanti, per renderli più simili a noi.

È questo il motto che mi ripeto in questi giorni in cui mi trascino come un sacco di patate dall’umore grigio e rabbioso: tra il paese dei balocchi e l’incubo di una visione priva di fascino e creatività deve esserci una via di mezzo e se proprio devo impegnarmi, lo farò per trovare e percorrere quest’ultima.

L’universo continua a incoraggiarmi; dal nulla infatti riemerge questo biglietto, frutto di un gioco, fatto all’inizio della esperienza di apprendimento, quasi a spingermi a non mollare, a ricordarmi che si può fare costruire un mondo migliore che non sia il paese dei balocchi.

Così, carica di voglia di non arrendermi e raccolte le forze rimaste, invento un’estate giorno per giorno, tra piccole gite e nuove scoperte, dove al centro non ci sono solo i miei Gnometti, ma ci siamo noi, insieme, ad imparare la vita, perché l’unico vero ruolo che mi riconosco è quello di eterna apprendista di vita…ho moltissimo da imparare!

E se proprio mi servirà aiuto, beh lo chiederò a chi è più creativo, libero e saggio di me…indovinate voi a chi mi riferisco!

Buona avventura estiva a tutti!

Mamma aquilone

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