Quando le indicazioni indicano le competenze e gli italiani guardano il programma…

Ho scoperto, da qualche tempo, che mi piace moltissimo creare connessioni tra gli eventi e gli argomenti, insomma un po’ tutto ciò che percepisco è fonte di ricerca di affinità e correlazioni.

Questa mia peculiarità od hobby, chiamatelo come volete, mi ha portato a unire le varie esperienze della mia vita e questo mi ha spinto a cimentarmi in questa frequente esposizione dei miei pensieri che proprio non riesco a più a trattenere.

Avete presente i giochi dove per scoprire l’immagine è necessario unire in ordine i puntini?

Ecco, a me capita così. Eh, già perché da quando sto leggendo in modo più approfondito le Indicazioni Nazionali, la cui conoscenza è diventata fondamentale per orientarmi nel nostro percorso di istruzione parentale, mi viene più facile unire i tasselli della mia vita.

La mia particolare attenzione ora è tutta rivolta alla 8 competenze – chiave inserite nel documento studiato e contestualizzate in ambito educativo, che poi, trasferite in campo lavorativo, diventano le più note soft skills.

Ebbene, se penso al mio percorso di apprendimento, non posso non costatare che nonostante abbia conseguito una laurea in giurisprudenza, io abbia dovuto comunque integrare il mio bagaglio culturale tecnico con quello “personale”, affrontando a mie spese corsi “integrativi in Pnl (per imparare a comunicare), in coaching (problem solving e prendere decisioni) e in intelligenza emotiva (gestione dello stress).

Un primo parallelismo che mi viene facile da fare è che, sia che si tratti di percorso di apprendimento, sia che si tratti di faccende lavorative, l’importante è che nel curriculum vitae (il curricolo per la scuola) siano certificate queste competenze.

Quindi, volendo ricapitolare, il nostro ordinamento si fonda sul principio costituzionale per il quale “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” art 3, 2 co. Cost.).

Ma come facciamo a comprendere cosa si intenda poi per “pieno sviluppo della persona umana”? Come facciamo, in altre parole, a dare un contenuto a questa meravigliosa ambizione?

Beh, diciamo che la lettura del documento che tanto mi impegna, fornisce una soluzione perché, in linea di massima, recepisce la sintesi assai schematica del patrimonio di conoscenze personali, ritenute necessarie per il pieno sviluppo della persona integrata nell’attuale flusso di globalizzazione.

In estrema sintesi le competenze aggiornate con Raccomandazione del Consiglio Europeo del 2018 sono queste:

1. competenza alfabetica funzionale;

2. competenza multilinguistica;

3. competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria;

4. competenza digitale;

5. competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare;

6. competenza in materia di cittadinanza;

7. competenza imprenditoriale;

8. competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.

Quindi una prima conclusione io la colgo: ogni persona ha diritto di sviluppare pienamente la propria personalità attraverso l’acquisizione di alcune fondamentali competenze; in altre parole ogni persona ha il diritto di ricevere l’istruzione finalizzata al trasferimento di tale bagaglio di competenze tecniche e di abilità personali.

A questo punto la domanda sorge spontanea: dove e come formarsi per acquisire queste competenze?

È la scuola che sulla carta dovrebbe iniziare questa missione di sviluppo personale, o meglio dovrebbe rimuovere gli ostacoli che impediscono tale processo (che detta così, ha tutt’altro senso).

A riguardo, ho trovato molto significativo l’Articolo 14 CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA, dove si descrive così il Diritto all’istruzione:

1. Ogni individuo ha diritto all’istruzione e all’accesso alla formazione professionale e continua.

2. Questo diritto include la possibilità di ricevere l’istruzione obbligatoria gratuita.

3. La libertà di fondare istituti di istruzione nel rispetto dei principi democratici e il diritto dei genitori di assicurare l’istruzione e l’insegnamento dei propri figli in conformità con le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche devono essere rispettati, in conformità con le leggi nazionali che disciplinano il esercizio di tale libertà e diritto.

Forse in Italia ci si è un po’ distratti sul recepimento del concetto di quest’ultimo comma (che è a livello europeo intendiamoci) e perciò ancora si discute sulla poca credibilità dell’homeschooling e a tutt’oggi non si è metabolizzato il principio di sussidiarietà orizzontale che caratterizza la modalità di progresso dell’obbligo di istruzione.

Io una spiegazione me la sono data a questa difficile interiorizzazione nazionale; purtroppo patiamo la poca conoscenza e una comunicazione mortificante di un argomento che invece è ricco e denso di prospettive innovative ed inoltre siamo affetti da una malsana abitudine, quella di organizzare il nostro tempo e la nostra esistenza in compartimenti stagni, anche per ciò che riguarda a cultura.

Sul serio è possibile che sia solo la scuola pubblica ad evadere il compito o il privilegio di formare i nostri ragazzi? Cioè, davvero accompagnare nell’apprendimento le nuove generazioni è qualcosa da delegare completamente ad essa?

E indovinate un po’, proprio nelle indicazioni nazionali è possibile rintracciare la risposta:

(…) la scuola italiana ha imparato a riconoscere e a valorizzare apprendimenti diffusi che avvengono fuori dalle sue mura, nei molteplici ambienti di vita in cui i bambini e i ragazzi crescono e attraverso nuovi media, in costante evoluzione, ai quali essi pure partecipano in modi diversificati e creativi.

(…) La centralità della persona trova il suo pieno significato nella scuola intesa come comunità educativa, aperta anche alla più larga comunità umana e civile, capace di includere le prospettive locale, nazionale, europea e mondiale.

(…) L’ingresso dei bambini nella scuola dell’infanzia è una grande occasione per prendere più chiaramente coscienza delle responsabilità genitoriali. Mamme e papà (ma anche i nonni, gli zii, i fratelli e le sorelle) sono stimolati a partecipare alla vita della scuola, condividendone finalità e contenuti, strategie educative e modalità concrete per aiutare i piccoli a crescere e imparare, a diventare più “forti” per un futuro che non è facile da prevedere e da decifrare.

Quindi il responso alla domanda posta, secondo me, è evidentemente no, perché il nuovo orizzonte strategico descrive una responsabilità condivisa da tutta la comunità educante ove la scuola è trasformata in formazione sociale o meglio in associazione civile, che nelle alleanze del proprio territorio trova l’energia di portare i bambini/e e i ragazzi/e nel mondo. La povertà educativa che dovrebbe rimuovere l’istituto pubblico è perciò quella che ostacola tutta la comunità e non solo quella attribuita ai bambini/e o ai ragazzi/e.

Insomma, proprio come mi ha insegnato il buon Fibonacci, io ritengo che il concetto educativo dovrebbe svilupparsi come una spirale aurea attorno alle persone e ciò può concretizzarsi solo se l’istruzione diventa diffusa e cioè se ci si rende conto che si apprende ovunque, sempre e da chiunque.

Se quindi si proponesse la cultura delle competenze chiave e non esclusivamente delle discipline, come base diffusa da cui partire, non ci sarebbe più bisogno di discutere su quali siano gli ambienti idonei o meno per far sviluppare la personalità degli individui, perché tali ambienti diventerebbero diffusi e complementari e non competitivi, utili a superare gli ostacoli o i limiti che ciascuno di essi potrebbe fisiologicamente considerare.

Tutti quelli che orbitano attorno ai bambini/e o ai ragazzi/e sarebbero così chiamati a interrogarsi su come trasferire competenze di cittadinanza o emotive, per citarne alcune, ed è per questo che sono convinta che impegnandosi nel far sviluppare le personalità delle nuove generazioni, migliorerebbe anche la società attorno ad esse.

In fondo, a pensarci bene, quello che è avvenuto alla mia famiglia è stato proprio questo; nel momento in cui la scuola pubblica, che avevamo scelto per nostro figlio, ha mostrato tutti i suoi limiti e incoerenze con gli auspici indicati dal documento d’indirizzo, palesando inoltre l’impossibilità di interagire in maniera realmente orizzontale (concetto che potrebbe individuare l’irrealizzabilità di agire in sinergia, a negoziare in modo proficuo le diversità e gli eventuali conflitti per costruire un progetto di scuola partendo dalle Indicazioni nazionali ), siamo stati costretti a rimuovere quegli ostacoli annunciati dalla Costituzione e descritti dalle indicazioni, per assolvere all’obbligo di istruzione in maniera più coerente al quadro di indirizzo.

Per farla a breve, è accaduto che difronte alle istituzioni, noi genitori abbiamo dovuto (ri)assumerci una responsabilità, che prima non era da noi minimamente percepita con le attuali sfumature, perché eravamo sicuri, erroneamente, che il compito di istruire i nostri figli fosse attribuito esclusivamente alla struttura amministrativa; insomma non era compito nostro “intrometterci” in questo processo, a noi spettava altro. Che poi, boh, cosa riguardasse questo “altro” non l’ho ancora capito.

Ripensare a quello che avrebbe dovuto fare la scuola, secondo le indicazioni, ci ha così imposto di superare gli ostacoli evidenziati da una offerta formativa basata su modelli didattici tradizionali di tipo prevalentemente, per non dire esclusivamente, trasmissivo, ma per fare questo salto abbiamo dovuto anche fare i conti con le nostre competenze acquisite.

Prima di scegliere la strada dell’istruzione familiare ci siamo interrogati se eravamo a conoscenza delle nozioni richieste dalle discipline, poi è stato il momento di rispondere al dubbio se avevamo il metodo di trasmetterle ed infine ci siamo chiesti se eravamo capaci di individuare e testimoniare i progressi o i limiti di un percorso di apprendimento familiare.

Siamo stati chiamati a considerare le nostre capacità tecniche o economiche per occuparci direttamente della istruzione dei nostri figli e questo la dice lunga, secondo me, sulle responsabilità non meglio specificate che si attribuiscono alle famiglie.

Comunque, per ciò che riguarda questo argomento, rinvio a due interessanti articoli pubblicati sulla pagina di LAIF circa le competenze tecniche e le competenze genitoriali.  

Insomma, alla luce di tutte queste personalissime considerazioni, ritengo veramente utile considerare l’istruzione come omnicomprensivo processo per lo sviluppo della personalità umana. Per renderlo efficace sarebbe utile cominciarlo ad organizzare in base sia al nostro grado di conoscenza delle competenze personali recepite dal nostro ordinamento, sia alla nostra effettiva interiorizzazione e realizzazione delle stesse.

Concluderei, perciò con il dire che il primo ostacolo che potremo provare a superare insieme, potrebbe essere quello che impedisce di considerare l’educazione affare in cui tutti siano competenti e consapevoli di quello che il nostro legislatore ha stabilito per noi e per i nostri ragazzi.

Educhiamoci per educare.

Mamma aquilone

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