Esame sì, esame no o esame come? Qual è il problema?

Sono consapevole che il mio status di homeschooler, conferitomi in virtù della scelta educativa fatta per i miei Gnometti, prima o poi, mi avrebbe condotta all’incombenza degli esami di idoneità.

Perciò anche per me è arrivato il fatidico momento di pormi la domanda: esame sì o esame no? Questo è il problema! E se sì, esame come?

Ebbene, andiamo per ordine.

Per dirimere il primo dubbio, ho sfoderato quelle che sono le mie competenze legali, conquistate con anni di sudore spesi per ottenere una laurea che ogni tanto bussa alla porta, per avvertirmi che a qualcosa può ancora servire.

Così, rivestiti i vecchi panni “legalesi”, non posso che fare una ricerca delle fonti e perciò individuare non solo le disposizioni di legge, ma anche la giurisprudenza (ossia le sentenze che indicano la modalità con cui la legge è applicata e interpretata dalla magistratura) e i pareri degli organi statali che tracciano, che ci piaccia o no, i confini dell’interpretazione autentica dalla norma.

Mamma mia che paroloni!

Comunque, curiosando qui e là, mi imbatto nelle sentenze della Cassazione circa l’art. 731 c.p. relativa alla “Inosservanza dell’obbligo dell’istruzione elementare dei minori”, norma a presidio penale dello specifico obbligo di istruzione primaria. Da una veloce lettura, comprendo che l’argomento sviluppato in chiave giurisprudenziale, non risolve il dilemma, perché l’obbligo di impartire l’istruzione ai propri figli richiama  una specifica responsabilità, legalmente riconosciuta, che è diversa da quella di adempiere all’obbligo di avvalersi dell’esame di idoneità.

In sintesi il quadro normativo prevede l’istruzione obbligatoria può essere realizzata nelle scuole statali e nelle scuole paritarie (legge 62 del 2000), che costituiscono il sistema pubblico di istruzione, ma può essere assolta anche nelle scuole non paritarie (legge 27 del 2006) o attraverso l’istruzione familiare. In questi ultimi due casi, però, l’assolvimento dell’obbligo di istruzione deve sottostare ad una serie di condizioni, quali l’effettuazione di esami di idoneità.

Direi che già questo passaggio permette di intuire la conclusione al dilemma, ma arriviamoci pian piano.

Possiamo, quindi dire che una prima certezza l’abbiamo portata a casa: è pacifico che chi non usufruisce del servizio pubblico per adempiere all’obbligo di istruzione per i propri figli, non commette alcun reato o violazione ed anzi, aderisce, con la dovuta consapevolezza,  ad un quadro normativo specifico che regola la fattispecie; in termini più ridondanti, possiamo affermare che il sistema educativo prevede per l’assolvimento dell’obbligo scolastico, anche l’applicazione delle disposizioni vigenti per l’educazione familiare/parentale.

A questo punto, vorrei rassicurare tutti coloro che rintracciano in questa scelta (del tutto legale) trame oscurantiste, o chissà quale tipo di dissidenza o boicottaggio: purtroppo o per fortuna, siamo molto più inquadrati, informati e legalmente preparati di quanto si possa pensare…è l’ignoranza che dovrebbe spaventare, soprattutto se perpetrata in ambienti istituzionali.

Concedendomi una digressione, io suggerirei a chi si spende tanto a denigrare qualcosa che legalmente e giuridicamente è risolto e riconosciuto, di preoccuparsi  più di tutti quei genitori che, non essendo opportunamente informati (non ricevendo cioè il completo quadro di informazioni), sono portati a pensare che l’obbligo in argomento sia assolto semplicemente lasciando i propri figli sull’uscio di una qualsiasi scuola pubblica, e che sono ignari di una serie di diritti – doveri che dovrebbero caratterizzare il famoso patto di corresponsabilità…ma questa è un’altra storia.  

Per capirci, batta un colpo chi, ad un open day di un istituto pubblico, abbia ricevuto informazioni circa la libertà di scelta educativa, l’esposizione degli obiettivi e traguardi o più generalmente delle indicazioni nazionali e di varietà di metodologie. Beh, se siete stati edotti di tutto questo popò di roba e non siete stati costretti, come me, ad affrontare una impegnativa ricerca autonoma, ritenetevi privilegiati.

Mi chiedo anche quando sia mai accaduto, per esempio, che una famiglia, che iscrive i propri figli a scuola, sia convolta o informata nella scelta della futura classe, in virtù magari del metodo applicato dall’insegnante? Vabbè fantascienza, lo so.

Ritornando alla legalità acclarata, l’elenco di norme a cui bisogna far riferimento sono elencate proprio sul sito del Miur dove purtroppo non viene riportata anche questa legge, che però trovo proprio calzante e bella; faccio riferimento all’ art.21 c.9  della Legge 59/1997 “l’autonomia didattica è finalizzata al perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e del diritto ad apprendere. Essa si sostanzia nella scelta programmata di metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento, da adottare nel rispetto della possibile pluralità di opzioni metodologiche e in ogni iniziativa che sia espressione di libertà progettuale […] (per un quadro completo clicca qui).

Alla luce di queste informazioni, possiamo tirare un sospiro di sollievo perché abbiamo compreso che homeschooler e libertà di scelta non sono brutte parole!

A questo punto possiamo passare alla risposta per la domanda iniziale: esame sì o no? Qui la faccenda si fa un pizzico più complessa, giacché i due obblighi esaminati (quello di impartire istruzione liberamente e quello di far valutare l’apprendimento della bambina o bambino, studentessa o studente, in istruzione parentale) sono di natura differente e dall’indagine autonoma svolta, mi sento di confermare,  che il filone di applicazione sia quello che pende a favore del riconoscere l’obbligatorietà dell’esame, anche se sulla faccenda ancora ci sono spazi di riflessione e non si capisce (almeno a me non è chiaro) a quale sanzione si incorra se si decide di declinare tale appuntamento,  parrebbe attualmente esclusa l’applicazione dell’art. 731 c.p.

Diciamo però, che per un’esigenza di economia di energie e una volontà di ottimizzare le stesse, la sottoscritta accoglie l’interpretazione dell’obbligo della valutazione di idoneità dei propri figli in istruzione parentale. Perciò esame sì; quindi esame sia!

Ma a questo punto, esame come?

Ecco, finalmente riesco ad arrivare al punto che tanto mi gironzola in testa questi giorni: possibile che su questo argomento sia molto complicato intavolare un dibattito costruttivo fra scuola e famiglia? Possibile che sia complesso trovare una rete che raccolga ufficialmente, o almeno ufficiosamente, le esperienze di realtà scolastiche virtuose e aperte a confrontarsi sul tema valutazione istruzione parentale?

Perché dico queste cose? Perché il momento del confronto tra famiglie che hanno scelto l’IP e la scuola vigilante o esaminatrice parrebbe essere una roulette russa. Su quali basi condivise e quali garanzie hanno coloro che non scelgono il percorso del settore pubblico per istruire i propri figli, che la valutazione pubblica sia coerente, aperta all’ascolto e soprattutto libera da deformazioni eccessivamente professionali o pregiudizi discriminanti?

A pensarci bene, nel sistema pubblico il percorso di istruzione è portato avanti dall’insegnante che ha autonomia didattica e che è la stessa figura che provvede anche a valutare la misura dell’apprendimento dei suoi alunni e alunne; in buona sostanza alla stessa persona viene attribuita la responsabilità di trasferire il sapere, quella di perseguire gli obiettivi generali del sistema nazionale e quella di valutare gli sviluppi dell’andamento del percorso della sua classe.  Per gli homeschooler invece, l’esito della valutazione finale è comunque connesso alla dimostrazione della capacità degli adulti di assolvere all’obbligo di istruzione. A dire la verità, a me non turba quest’ultimo passaggio, ma sono perplessa per il meccanismo pubblico, perché se per esaminare un percorso di istruzione familiare un qualche confronto deve essere, per forza, intavolato con le famiglie fortemente responsabilizzate, nel pubblico mi pare che il dialogo sia ridotto ai minimi termini. Ho l’impressione che quella parte del sistema pubblico che rimane scossa da una decisione familiare così importante sia proprio lo stesso sistema che ha rinunciato alla comunicazione interna e non si accorga del rischio che ha di incorrere oltre che nella dispersione scolastica anche in quella di responsabilità…

Sarà che sono visionaria, ma secondo me l’esperienza di famiglie di homeschoolers, se si allentasse la tensione e si abbattesse il pregiudizio, potrebbe essere un passe-partout valido da utilizzare per riscrivere tutto il capitolo della comunicazione tra scuola e famiglia e per rinvigorire il concetto di patto di corresponsabilità. Insomma noi potremmo essere l’anello che unisce il mondo scolastico con il mondo familiare scolarizzato.

Non so perché, ma il mio pensiero va all’Agenda per lo sviluppo sostenibile 2030 e ai 17 Goals previsti, cioè quegli obiettivi interconnessi, definiti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, come strategia “per ottenere un futuro migliore e più sostenibile per tutti”, fra i quali c’è anche quello, il numero 4, volto a garantire un’istruzione di qualità, equa ed inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti. Tale obiettivo si declina in 7 Target e uno mi risuona più di tutti in questo discoro, il 4.7,  quello cioè che si impegna, entro il 2030, di assicurarsi che tutti gli studenti acquisiscano le conoscenze e le competenze necessarie per promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso, tra l’altro, l’educazione per lo sviluppo sostenibile e stili di vita sostenibili, i diritti umani, l’uguaglianza di genere, la promozione di una cultura di pace e di non violenza, la cittadinanza globale e la valorizzazione della diversità culturale e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile (qui la fonte).

Penso anche a un interessante articolo intitolato Educazione alla sostenibilità e alla cittadinanza globale…ripartiamo dalla bellezza, che racconta del convegno, organizzato ad Altamura dall’Associazione docenti e dirigenti scolastici Italiani (Adi), dove sono state approfondite “le potenzialità dell’educazione alla bellezza e il suo contributo alla costruzione di una cittadinanza consapevole che, nel suo attualizzarsi, favorisca solidarietà intergenerazionale e sviluppo sostenibile”.

L’articolo sviluppa tematiche interessanti e mi piace moltissimo il passaggio che evidenzia che  “L’educazione del cittadino – tanto nell’accezione tradizionale, quanto nel nuovo orientamento verso lo sviluppo sostenibile e la cittadinanza globale – dovrebbe essere finalizzata non solo a un’adeguata conoscenza, ma soprattutto alla promozione di comportamenti virtuosi avendo come quadro di riferimento l’attuazione degli Obiettivi dell’Agenda 2030” ; la sua lettura mi fa sorridere perché penso che  la soluzione, se fossimo realmente aperti alla bellezza, già ce l’avremmo.

È un vero peccato che non si colga un po’ della tanto ambita beltà nella emancipazione culturale di coloro che scelgono un percorso parallelo a quello pubblico e che in esso dovrebbero semplicemente trovare un laboratorio dove è possibile praticare quotidianamente e realmente le virtù della democrazia, per tutti gli studenti o meglio per tutti i bambini e tutte le bambine in età scolare, preciso io.

In conclusione, credo che la risposta alla domanda, “esame come?”, purtroppo, sia ancora tutta da risolvere; lo so che l’appuntamento per la soluzione al quesito potrebbe essere posticipato al 2030, ma io per i miei Gnometti  avrei una certa fretta…

Intanto, chiudendola qui, mi accontento di questi link (12) di alcuni Istituti Comprensivi Statali che almeno mettono a disposizione le informazioni utili alle famiglie intenzionate ad adempiere personalmente all’obbligo di istruzione dei propri figli; in questo modo ho la percezione di chiudere l’articolo con esempi di incontri ravvicinati del terzo tipo e del tutto pacifici.

Mamma aquilone

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