
In questi giorni di ripartenza scolastica mi è capitato di parlare con tante persone che hanno affrontato il rientro a scuola dei propri figli. Ebbene, alla domanda – come è andata? – hanno risposto con tono un po’ dubbioso – ma niente, hanno solo parlato -.
Anche io lo avrei detto ed anzi ancora mi capita di scivolare in questo errore di linguaggio che fa male, che annienta.
Io infatti con quel niente dialogico c’ho dovuto fare i conti, perché quando smetti di lavorare, sei donna e madre, per esempio, capita di affermare che “fai niente”.
Figurati poi se per i figli scegli una strada alternativa di formazione ed educazione, extrascolastica! Non c’è verso, ti sentirai comunque dire – ma poi non imparano niente! –
Aggiungiamo poi i casi in cui incappi nei sostenitori della “professionalità” di chi educa, per i quali o hai un titolo o non hai nulla da dire, perché l’educare è una professione e mica ci vorrai mettere bocca, tu che sei solo un genitore e che non ci capisci niente?
Già, ma di cosa è fatto il nostro niente?
Avete notato come si tende a sintetizzare una intera giornata con tale parola?
– Cosa hai fatto? – e pronti spesso affermiamo – bah, niente di ché -.
Insomma questa parola, il cui senso è il vuoto cosmico, diventa strumento per sintetizzare degli eventi che rinunciamo in primis noi stessi a considerare meritevoli di nota.
Descriversi così, la vedo come una resa a raggiungere il nostro interlocutore che, secondo noi, o potrebbe non capire o non ci interessa che comprenda, ma così facendo in realtà ci isoliamo in questo triste vuoto.
Il fatto è che non ci accorgiamo che, spessissimo, dietro a quel nulla, c’è in realtà tutto.
Riflettendo quindi sulla vita dei bambini, che noi adulti siamo abilissimi a minimizzare e svuotare (per le nostre ridottissime vedute), mi va di raccontare come abbiamo trascorso il nostro dolce far niente, in attesa che l’avventura Gorilla parta; manca poco poco!



Tutto è iniziato osservando il filare di olivi che tracciano il tragitto di casa: alberi in fila, distanziati, ognuno con i propri frutti.
L’esplorazione quindi si è svolta osservando e tentando di comprendere come mai alcune olive avessero un colore più chiaro, altre più scuro.
Abbiamo raccolto un frutto per ogni albero e siamo tornati a casa.



La piccola ha avuto il compito di sistemare i frutti in ordine crescente, contarli e campionarli; il grande ha ricercato le notizie sulla raccolta e maturazione.
Scopro che l’argomento era stato già trattato a scuola, per cui il ragazzotto prende inorgoglito il suo quaderno e tra video, olive e appunti comprendiamo che il tempo per la molitura di sta avvicinando.




Abbiamo anche deciso di intervistare i braccianti, quando li vedremo iniziare tale operazione.
Come processo ulteriore, abbiamo tagliato le drupe e ne abbiamo studiato l’odore, ricercando le differenze olfattive proprie delle fasi di maturazione.




Infine, abbiamo confrontato il processo di crescita delle more, delle olive, dei fichi e delle castagne e la Gnometta ci ha illustrato le stagioni in cui tutto questo avviene.
Ah! Abbiamo imparato parole nuove: drupa (frutto carnoso, con buccia sottile e nocciolo al suo interno), molire, che ci siamo accorti essere un verbo della 3 coniugazione e molitura che rappresenta la prima vera e propria fase di estrazione nel processo di produzione dell’olio extra vergine d’oliva.
Insomma, ecco, così abbiamo riempito il nostro far niente fuori una classe.
Cosa mi spinge a scrivere tutto questo? Perché penso che potevano esserci anche gli altri compagni di mio figlio, se tutti fossimo stati preparati a cambiare ottica e a comprendere che per imparare non serve solo una scheda da colorare incollata su un quaderno; raccontarci che così si impara è una bella comodità…
Proprio ieri il mio ragazzotto, mi ha confidato, dopo aver giocato col suo migliore amico – sai mamma, in fondo mi mancano i miei compagni, tutto sommato mi divertivo a parlare, a scherzare e anche a litigare con loro…io a scuola non ci stavo bene, ma loro un po’ mi mancano, chissà perché? -.
– Perché hai un cuore grande, ecco perché – gli ribatto, con il groppo in gola e una sensazione di cazzotto nello stomaco – prenderemo solo il bello quest’anno, amore mio – continuo io.
La morale di tutta questa faccenda? Boh, ognuno può trovare quella che vuole.
Fatto sta che io ho gioito quando, cercando il significato simbolico dell’olivo ho scoperto che questa pianta, oltre ad essere presente nella simbologia e nei miti fin dalla preistoria, oggi è emblema di pace, forza, fede, trionfo, vittoria, onore. E sapete quali altri alberi sono accostati in campo e nella simbologia all’olivo? Certamente il fico, simbolo di maternità e abbondanza, per via dei suoi frutti che ricordano materni seni turgidi che regalano “latte”, proprio come il liquido bianco che da essi fuoriesce. E guarda caso pure l’albero di fico abbiamo incontrato e osservato!



Ma torniamo al nostro albero, abbiamo appreso che nella religione cattolica l’olivo, ha assunto un duplice significato: è diventato il simbolo della rigenerazione, perché, dopo la distruzione operata dal diluvio, la terra tornava a fiorire; oltreché simbolo di pace, perché attestava la fine del castigo.
Latte materno, rigenerazione e fine del castigo…e niente mi viene da sorridere.
Mamma aquilone
Cara Mary, dopo questo post ti dedico l’albo illustrato di Beatrice Alemagna “Un grande giorno di niente”. Quanto abbiamo da scoprire nel nostro lento niente…
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Grazie Paola!
Sai, da quando ho tolto la coltre del niente dal mio sguardo, riesco a trovare tesori bellissimi, alcuni dei quali mi raggiungono sotto forma di doni, proprio come quello che mi hai fatto tu.
Grazie al tuo pensiero oggi sono più ricca!
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