Quella volta che uscimmo dalla caverna e camminammo sulla Luna

“Quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito”, questa è una delle citazioni che più mi rappresenta.

Da sempre ho lanciato lo sguardo oltre, per scovare i lati nascosti delle prospettive terrene, pronta a fiutare gli odori del non detto nelle situazioni quotidiane.

A furia di lanciarmi, ricercare e fiutare, noi sulla Luna ci siamo arrivati!

Ora vi spiego.

A Manziana, un Comune della provincia di Roma, si trova il Monumento naturale Caldara di M., un’area protetta istituita nel 1988, situata all’interno del Parco naturale di Bracciano.

Sebbene io fin da piccola abbia scorrazzato all’ombra degli alberi del meraviglio bosco di questo comune, il suggestivo paesaggio lunare, in esso nascosto, proprio non lo conoscevo. Lo abbiamo scoperto poco prima dell’inizio del lockdown, a marzo, subito dopo la chiusura delle scuole e ciò è stato possibile perché a farci guidare in quella straordinaria situazione è stata la curiosità e non lo scoramento.

Già, la pandemia e il confinamento. Capitolo cruciale per la nostra vita; il viaggio finale per l’allunaggio è iniziato in quei mesi.

Jim Morrison diceva che – ciascun giorno è farsi un giro nella storia – e perbacco se non l’abbiamo attraversata tutta la storia in quel periodo!

Dalla dichiarazione di chiusura delle scuole ho scritto tutti i giorni una pagina di diario, e più le pagine aumentavano, più lo straripamento dell’anima acquisiva quella forza utile a rompere le dighe, o meglio le catene, e a spazzare via ogni perplessità con la determinazione di uno tsunami.

Quei mesi sono stati una durissima opportunità, cadutami addosso come l’ennesima strattonata della vita, che mi ha preso per le spalle, scuotendomi e imponendomi di vedere e ad ascoltare la sua inesorabile sentenza – Guarda! Apri gli occhi! Questa è la scuola di tuo figlio – quel bimbetto che a sette anni mi diceva – Mamma, ma se mi vuoi bene, come fai a lasciarmi lì dentro? -.    

Sia chiaro, non ho l’intenzione di screditare o parlar male della scuola di mio figlio, né dell’istituzione scolastica generale; ho invece il desiderio di condividere la spinta propulsiva con la quale abbiamo intrapreso un viaggio da cui non è possibile rincasare.  

Ma riprendiamo dalla Caldara.

Il momento in cui abbiamo scoperto quel posto, calpestando il suo terreno grigiastro e argilloso, intriso di un acre odore di zolfo e zampillante con i suoi geyser gorgoglianti, è stato l’istante esatto in cui mi sono sentita leggera e priva di gravità, proprio come gli astronauti sulla Luna. Con la scuola chiusa, io avevo la possibilità di mettere in pratica quello che studiavo e professavo da qualche anno; avevo l’opportunità di mettermi in gioco lasciando perdere le vocine interne che mi allertavano, dicendomi che non era quello il mio mestiere.

Ma l’educazione può essere confezionata come l’arte di salire in cattedra? O piuttosto, è una faccenda in cui ci si sporca le mani e si continua a fluire in uno generoso scambio di virtù fra l’adulto facilitatore, che dona il suo sapere, e l’acerbo allievo, che dona la sua esuberante curiosità?   E poi, mentre ero lì, una valanga di domande mi scorreva dentro con tutto il suo enorme senso di ingiustizia e incredulità: perché nessuno me lo aveva detto prima? Cioè, perché da bambina nessun libro, nessuna guida o insegnante, mi aveva fatto conoscere la zona in cui vivevo? E perché si continua così? Per quale motivo si prosegue a far buttare lo sguardo delle giovani generazioni altrove, privandole della più coinvolgente connessione col proprio territorio?  Se la pandemia non ci avesse costretti ad uscire da quelle claustrofobiche aule, mio figlio a maggio, dopo essere stato costretto a studiare sulla carta i laghi, i fiumi e i periodi preistorici, sarebbe andato in gita ad Orvieto…dannazione perché? Infine, possibile che da mamma io non abbia cose interessanti da dire ai miei figli?

insomma, senza quel fardello strutturale, edificato su stratificazioni secolari di convenzioni e convinzioni e scandito da un’ossequiosa via crucis didattica, il cui ritmo risulta di vitale importanza se non si vuole essere scagliati nel girone dei “certificati” o peggio degli “etichettati”, eravamo liberi di ricercare e di apprendere, mossi prevalentemente dalla signora curiosità. E proprio grazie ad essa abbiamo scoperto la ricchezza del nostro territorio, a meno di un’ora di macchina!  

Eureka ragazzi! D’un tratto, tutti i seminari, i webinar, i libri e gli incontri assorbiti negli anni, hanno preso forma e abbiamo toccato con mano il fascino della libertà di imparare, oltreché l’importanza della resilienza.

E così, proprio mentre un virus spaventoso minacciava di chiuderci tra le mura domestiche (come di lì a poco è avvenuto) e sembrava pronto a sottrarci ogni scintilla di vitalità, abbiamo appreso che le legioni romane probabilmente si fermavano alla Caldara, che stavamo visitando, per purificarsi dopo le lunghe campagne militari, prima di fare rientro nella capitale. (Fonte: http://www.agrariamanziana.it/territorio/la-caldara/).

Sarà stato l’odore di zolfo o l’argilla spalmata sulle mani, ma nulla è stato più come prima. Con quella passeggiata lunare, forse, ci siamo purificati anche noi e abbiamo compreso che per riprendere a vivere dovevamo continuare ad essere interessati a ciò che avevamo intorno e a ciò che avevamo dentro.  

Con questo spirito abbiamo affrontato il nostro confinamento.

Grazie a questa intuizione, ormai sappiamo che sul fondo del lago di Bracciano è stato rinvenuto anni fa un villaggio su palafitte risalente al Neolitico, il più antico d’Europa. Che emozione pensare che noi in quelle acque ricche di storia ci facciamo il bagno d’estate!

In più, grazie al rallentamento imposto dal lockdown, abbiamo osservato bene i paesaggi dei luoghi in cui viviamo e abbiamo avuto l’impressione di camminare in un quadro di Monet (“Papaveri”), quando la primavera era ancora alle porte, per poi notare che l’ambiente bucolico circostante, con l’arrivo dell’estate, si è colorato delle tinte solari del “Campo di grano con volo di corvi”, di Van Gogh.

E ancora, sappiamo che per osservare il fenomeno della tensione dell’acqua, bisogna trasformarsi in formichine e al mattino, sbirciare tra le foglie baciate dalla rugiada.

Abbiamo affrontato lo strazio della perdita, perché la nostra cagnolina Musa, dopo 11 anni di vita insieme, ha deciso di correre in Paradiso proprio durante la clausura, facendoci sprofondare in un dolore profondo e insanabile, donandoci però quell’umanità di percepire anche la sofferenza che avevamo attorno in quel momento, la morte infatti era tema ricorrente quei giorni.

Abbiamo, sognato, sperato e gioito quando la nuova cucciola, Hope (speranza)  è stata accolta nella nostra casa, anche lei liberata dalla cella di un canile.

Morale: libertà, cultura ed emozioni il mix che ci ha salvati; non la D. a D. o i cumoli di fotocopie in bianco e nero da stampare! Non i voti o i giudizi.

Abbiamo avuto il coraggio di camminare per la nostra strada, rimanendo a casa e giocando alla caccia ai tesori del nostro territorio. Abbiamo accolto ogni sfumatura delle emozioni percepibili in periodi intensi come quello appena passato. Il fascino della esplorazione ci ha coinvolti e distolti dal continuare a guardare le pareti di quella caverna, perché la scuola a quel punto della storia ha assunto quella dimensione. Quel sapere veicolato da un rullo impersonale tipico di una catena di montaggio non ci è più bastato; il pacchetto si è mostrato privo di emozioni e scopi ed è apparso in tutte le tonalità del grigio, specifiche delle ombre proiettate sulle pareti della Caverna di Platone.

Coraggio, tanti mi dicono che abbiamo avuto coraggio.

Sulla scia della curiosità ho cercato l’etimologia di questa parola, per assaporarne l’essenza; ebbene, dal latino coratĭcum o anche cor habeo, aggettivo derivante dalla parola composta cŏr, cŏrdis ’cuore’ e dal verbo habere ’avere’: avere cuore (Wikipedia).

Sì, mi piace l’idea di aver avuto cuore nello scegliere di non tornarci più in quella caverna. Mi piace guardarmi indietro e avere la suggestione di essere rimasti vivi e vitali. Mi solleva il pensiero di essere qui, con la voglia tanto umana di raccontarvi la parte affascinante di questo viaggio educativo, che per qualche assurdo motivo ci viene sottratto, convincendoci che il sapere è uno e che per trasferirlo occorrono delle mura. A pensarci bene, tutti sanno che gli animali cresciuti in cattività non sono capaci di sopravvivere se portati nel loro ambiente naturale, eppure, siamo gli unici esseri viventi a strappare i nostri cuccioli dal territorio per costringerli in classi, imponendogli di guardare il nero di una lavagna, che se sei fortunato conquista i colori di una LIM.

Ecco qui, ho raccontato di quella volta che siamo usciti dalla caverna, abbiamo passeggiato sulla Luna per ritornare a imparare liberi sulla Terra.

A te che leggi, ovunque tu sia, qualunque sia la direzione del tuo sguardo, auguro solo una cosa: che tu abbia tanto cuore, insomma che tu abbia tanto coraggio, perché se dalla caverna non puoi uscire, almeno prova a renderla meravigliosa!

Un saluto dalla Luna; ogni tanto col pensiero mi rifugio lì.

Mary.

Un pensiero riguardo “Quella volta che uscimmo dalla caverna e camminammo sulla Luna

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  1. Avere a cuore prendersi cura sembra non faccia più parte della nostra vita .Sempre di corsa sempre più veloci a tal punto da non accorgerci più di quello che è vivo intorno a noi.Grazie di offrirci l’opportunità di accorgerci di vivere.
    BRAVA

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